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CERTO, GLI ESAMI NON FINISCONO MAI. -di Errico Centofanti

Eduardo nel ruolo principale della commedia "Gli esami non finiscono mai" (foto di scena del 1976). Eduardo nel ruolo principale della commedia "Gli esami non finiscono mai" (foto di scena del 1976).

Cinquant’anni fa, Venerdi 21 Dicembre 1973, Firenze, Teatro alla Pergola: è la sera della prima assoluta per Gli esami non finiscono mai, commedia in tre atti e un prologo di Eduardo De Filippo. È lo stesso anno che vede l’ingresso nell’immortalità di Anna Magnani e Pablo Picasso, l’apparizione di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, il primo levarsi d’un sipario dentro la Sydney Opera House, la prima chiacchierata attraverso un telefono portatile, il colpo di Stato contro il governo eletto dal popolo cileno e la morte del Presidente Salvador Allende.

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Copertina del volume con il testo della commedia Gli esami non finiscono mai.

Invece, assai piú povero, anzi quasi nullatenente, era stato il 1723, tutto sommato memorabile solo per due grandi eventi: l’avvio della creazione da parte di Antonio Vivaldi di quei capolavori che sono i concerti delle Quattro Stagioni e la nascita in Edimburgo di Adam Smith, quello del celebre trattato La ricchezza delle nazioni nonché fondatore degli studi di economia politica classica. Ma, quell’anno di trecent’anni fa diventa memorabile pure per aver accolto pure lui un esame di gran conto. Era il 2 di Luglio, un Venerdi anche quello. Tra le vertigini gotiche della Thomaskirche c’è la folla delle grandi occasioni. Sono tutti lí per il debutto del nuovo Thomaskantor, che, due mesi prima, al termine di un’intricata procedura concorsuale, è stato scelto come successore del 16° direttore musicale di quella che è la piú prestigiosa chiesa di Lipsia. Lui è Johann Sebastian Bach, 38 anni. L’aspettativa è grande: lo è per lui, che ha necessità di inaugurare alla grande l’incarico; lo è per gli esigenti cittadini di Lipsia, curiosi di come se la caverà questo organista e compositore, già di larga fama altrove ma non presso di loro. Insomma, si tratta di un esame molto importante, pur se poco sorprendente per uno come Bach, che di esami ne ha passati e vinti parecchi. Questa volta sconvolge l’uditorio con il Magnificat per soli coro e orchestra, una delle sue pagine di suprema bellezza.

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Partitura del celebre incipit strumentale creato da Bach per il Magnificat.

Sanssouci

Un quarto di secolo dopo, però, come dice Eduardo, “gli esami non finiscono mai” nemmeno per Bach, che nel frattempo è diventato un vero e proprio monumento vivente. Per lui, che sta sempre a Lipsia, dove resterà Thomaskantor per tutta la vita, si profila un altro esame, ancora piú clamoroso.
Giovedi 11 Maggio 1747, a Berlino, dove, dal 1740 regna Federico II di casa Hohenzollern, nella prima pagina del Berlinische Nachrichten si può leggere (in tedesco, ovviamente): «Da Potsdam è giunta notizia dell’arrivo domenica 7 Maggio da Lipsia del famoso Kapellmeister Bach, che di una Fuga composta dal re ha dato una eseuzione cosí brillante da suscitare l’entusiasmo generale. Bach ha trovato il tema cosí interessante da promettere di lavorarci sopra e di pubblicare in seguito questa composizione».
Questo – nudo e crudo – è il cuore della notizia proposta dal giornale quasi-quotidiano che si stampava nella capitale del Regno di Prussia. L’intera vicenda viene ricostruita nell’imponente biografia Federico il Grande, frutto recentissimo dell’illustre studioso Claudio Guidi (Il melangolo editore, Genova 2023), da cui si possono cavare tanti succosi dettagli: Federico II, pure lui valente musicista, amava ospitare quotidiani concerti pomeridiani nel Palazzo Sanssouci di Potsdam, inaugurato appena una settimana prima della desideratissima visita di Bach, resa possibile da Carl Philipp Emanuel, il quinto e piú famoso dei venti figli di Johann Sebastian e venerato musicista anch’egli; il tema musicale proposto dal re venne effettivamente elaborato da Bach, che, grazie alle proprie doti di tecnica vertiginosa e inesauribile inventiva, seppe trarne addirittura tredici composizioni, raccolte in quella Musicalisches Opfer BWV 1079 considerata uno dei massimi vertici della musica d’ogni tempo; Federico ignorò il dono di quel capolavoro inviatogli da Johann Sebastian, il quale, per poterne ricavare un arrotondamento delle entrate, finí col doverlo pubblicare a proprie spese.

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La notizia della visita di Bach al Re di Prussia nella prima pagina del Berlinische Nachrichten dell’11 Maggio 1747.

C’esame e esame

5Che nesso c’è tra l’Eduardo dell’inesauribilità degli esami e gli strani esami che coinvolsero Johann Sebastian Bach?
È dai tempi piú antichi che si fanno esami. Che altro fu la chiamata di Giunone, Venere e Atena davanti il Giudizio di Paride? La Bibbia proclama che venne sottoposta a esame addirittura la creazione del mondo: «E Dio vide che era cosa buona» (Genesi 1, 25). Quanto all’Islam, L’Esaminata, cioè la sura 60 del Corano, istituisce un esame affinché si possa riconoscere alle donne la condizione di credenti. E tutti gli esami che Dante subisce o da lui vengono attivati nelle tre cantiche del suo divino poema? Ma, in fondo, è la quotidianità di ognuno che da sempre appare costellata dalla inesauribilità degli esami, di piccolo o grande momento che siano.
Certo, gli esami non sono tutti uguali, specialmente quanto agli esiti: se finiscono male, non è automatico che ti stronchino la vita. Quello del 1832 per l’ammissione al Conservatorio di Milano, per esempio, andò malissimo e tuttavia non impedí al quasi ventenne Giuseppe Verdi di creare nei successivi settant’anni la ben nota valanga di capolavori musicali.
D’altra parte, Alberto Moravia, nonostante le diciassette candidature al Premio Nobel per la Letteratura andate a vuoto tra il 1949 e il ’71, proseguí sempre in crescendo la sua carriera di grande scrittore.
Perfino le bocciature all’esame della Storia possono rivelarsi irrilevanti: l’oblio post mortem durò piú d’un secolo per Bach, due per Vivaldi e addirittura tre secoli per Botticelli e Ruzante, ma poi, per tutti loro, è spuntata l’alba d’una gloria intramontabile.
Svetta solo un caso di conseguenze disastrose addebitabili a esami infruttuosi: la storia dell’umanità avrebbe seguito strade ben diverse se nel 1907 e nel 1908 le bocciature agli esami d’ammissione all’Accademia di Belle Arti di Vienna non avessero stroncato l’avvenire da pittore professionista del giovane Adolf Hitler.
Sta di fatto che quel titolo lanciato da Eduardo non è semplicemente una battuta felice. È la constatazione, forse un po’ amara ma certamente inappuntabile, d’una realtà che alla natura umana è consustanziale. Gli esami non finiscono mai non è il capolavoro di Eduardo e nemmeno una delle sue commedie migliori, però è l’ultima nata, il che l’apparenta a una sorta di consuntiva riflessione escatologica su vita e opere non solo del grande artefice, quale Eduardo fu, ma di ciascuno di noi.

L’esame di coscienza

Guglielmo Speranza, protagonista della commedia, attivando una sorta di corto-circuito drammaturgico, che introduce uno stilema pirandelliano nell’orditura  echeggiante un po’ Brecht e un po’ Beckett, dice che lui, trasparente alter ego scenico di Eduardo, ha domandato all’Eduardo-autore chi egli sia e sostiene d’esser venuto a sapere che «l’eroe di questa commedia non è un “tipo”, bensí il prototipo di noi tutti, un eroe la cui esistenza è caratterizzata dagli aspetti positivi e negativi della nostra stessa esistenza», cosí facendosi simbolo di quell’umanità sognatrice e illusa destinata a misurarsi con gl’inesauribili esami altrimenti noti come casi-della-vita e a venirne sconfitta. Attenzione: a venirne sconfitta “spesso”, fors’anche “per lo piú”, però “non sempre”!
Ma, in fondo, un esame cos’è? Ponderata considerazione che tende a un giudizio, a una conclusione, a una decisione – dicono i vocabolari – come pure è meditazione e valutazione di tipo morale, specialmente in forma di riflessione su se stessi e sul proprio operato.
Dunque, eccolo il principe degli esami: quello di coscienza! Tuttavia, non vuol dire che l’esame di coscienza sia solo questione di pratica religiosa.
Infatti, la Cristianità si guarda bene dal praticare compassione e/o misericordia e/o fraternità e/o clemenza, come sarebbe doveroso, in base a Matteo 7, 1-5: «Non giudicate, per non essere giudicati. […] Togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Piú disincantata è la concezione appartenente all’ebraismo, per cui la preghiera altro non è se non un esame di se stessi di fronte alla realtà e alla verità, il cui scopo non è di chiedere alla divinità la concessione di qualcosa ma piuttosto la possibilità di migliorare la propria vita praticando, appunto, l’introspezione, l’esame di se stessi.
Il meccanismo della commedia di Eduardo si muove secondo questa medesima lunghezza d’onda, spinge implacabilmente i suoi personaggi a riflettere sulla direzione presa dalla propria vita, incalza verso l’autogiudizio, mira a fare dell’esame di coscienza il metro di misura dell’adempimento dei propri doveri. Cosí, si riallaccia alla grande tradizione del pensiero greco-romano, che sulla quotidianità dell’esame di coscienza fondava la possibilità di conquistare la padronanza di sé e cioè la vera libertà, quella interiore.

L’aver servito

Di fatto, Gli esami non finiscono mai è in sé un esame di coscienza, sfaccettato in ragione dei differenti personaggi, relatori dei rispettivi, inconsapevoli, autoesami. E questa è la chiave di tutto, lo scioglimento dell’enigma che cela il perché della commedia: al di là delle contingenti occorrenze fattuali, il vero esame che non finisce mai è quello al quale tutti siamo avvinti: l’esame che decreta il nostro essere o non essere “persone”.
Girolamo, il futuro suocero di Guglielmo Speranza, nonostante l’aridità morale che lo distingue, aveva ben chiarito al protagonista come la laurea da lui conseguita non fosse altro se non una premessa ai tanti esami ai quali sarebbe stato sottoposto dagli altri, «fino a quando quel tale “pezzo di carta” non sarà diventato per riconoscimento popolare una vera e propria laurea».
Alla fine, dunque, conta non l’inesauribile patimento degli esami-che-non-finiscono-mai, conta “essere stato utile” e, in ragione di questo “aver servito”, aver ottenuto il plauso di quanti hanno usufruito: privilegio sommo, di cui – plastico esempio – possono godere gli attori e quant’altri lavorano sopra o per un palcoscenico. L’applauso – quand’anche metaforico, per chi persona di palcoscenico non sia – quella è la vera laurea, la quale, a differenza dell’accademica che viene, se viene, una volta sola o poco piú, ce l’hai ogni sera o, comunque, ogni volta che gl’inesauribili casi-della-vita t’avranno esaminato fruttuosamente.

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La tomba di Bach nell’abside della Chiesa di San Tommaso a Lipsia.

Il magistero morale di Eduardo, ovviamente, s’estende a lasciar intendere come tutto è finito, allorché si smette di stare sotto esame: «L’uomo sa che deve morire e che non c’è niente da fare. Ma sa con certezza che quando comincia a vivere come un albero, quando passa le giornate sdraiato in poltrona a leggere libri e giornali, la fine non può essere lontana».

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Anni ’70 del Novecento: Alberto Moravia fotografato quando ormai era definitivamente svanita l’aspettativa del Premio Nobel per la letteratura.

D’altra parte, Eduardo, sempre elegantissimo nel parlato italiano come in quello napoletano, non manca di lasciar intravedere quella degenerazione della convivenza che ci aliena dal comprendere e dal saper valutare criticamente e nella quale seguitiamo a precipitare, causa e conseguenza dell’imbarbarimento linguistico, del conversare scaduto in chiacchiericcio, maldicenza e pettegolezzo, del vaniloquio mirante solo al godimento dell’ascoltare se stessi, dell’alluvione di parole aggressive, svalutate, fraintese, stupide, volgari e oscene vomitata da social, tv e giornali. Tant’è: «Mi sono scocciato di sottostare alla legge del vivere civile che t’assoggetta a pronunziare i “sí” senza convinzione, quando i “no” salgono alla gola come tante bolle d’aria».

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Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna: il famoso ritratto di Giuseppe Verdi dovuto a Giovanni Boldini nella versione in pastello, sempre di Boldini, risalente al 1886.

Di pensieri simili non v’è traccia documentale riguardo a quelli che furono gli atteggiamenti di Johann Sebastian. Tuttavia, chi può confutare che dietro quella conclamata olimpica serenità vibrassero inquietudini non dissimili da quelle di Eduardo? E di chissà quanti di noi? Certo, Gli esami non finiscono mai. E, dunque? Qualcosa, piú di qualcosa, spiegano queste che sono tra le ultime parole pronunciate in scena da Guglielmo Speranza: «Mi trovate insolito, stravagante, al limite della follia? Sognatore, forse, sí. Ma siamo tutti sognatori». 

Ultima modifica il Lunedì, 06 Novembre 2023 12:33

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