a cura di Antonio Costa Dal felice esordio col lungofiction Notte italiana (1987) tra acque e boschi del Delta Padano, e dopo da Parise il troppo rinsecchito Il Prete Bello (1989), con Un'altra vita (1992) mediazione interpretativa di un disorientato quotidiano di solitudine, sino a quello sguardo con La giusta distanza (2007) lucidamente comprensivo su scorci e personaggi di una realtà paesana del Delta tra arcaismi e postmodernità, e ai due "testamentari" La passione (2010) e La sedia della felicità (2013) ai limiti di un picaresco incantamento, Carlo Mazzacurati, magari a corrente alternata tra colpi d'ala e flop d'energia, ci mostra innato quel suo gusto per personaggi d'anima, in cui anche il colore del paesaggio si salda al destino degli uomini, e, di riflesso, quel tema di fondo, anche più scoperto in film come Il toro (1994) o Vesna va veloce (1996), dell'andare, nell'illusiva prospettiva di un miraggio, fascino d'avventura ma anche fuga da un sistema di vita inaridito e confuso. Alberto Pesce |