di Hector Berlioz
direttore: George Pehlivanian
regia, scene e costumi: Jean Kalman
costumi: Emanuel Ungaro
con José Bros, Sonia Ganassi, Erwin Schrott, Maurizio Lo Piccolo
Orchestra, Coro e Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo
Napoli, Teatro di San Carlo, dal 18 al 26 marzo 2009
La damnation de Faust rivive al San Carlo di Napoli in forma scenica. Héctor Berlioz l’aveva concepita come «leggenda drammatica», ossia teatro immaginario da creare, attraverso la musica, nell’interiorità della fantasia. Ma questo pseudo-oratorio è in realtà un portentoso, sperimentale e affascinante incrocio di prospettive diverse: teatro epico, visione lirica, realismo drammatico, staticità oratoriale e precipitoso incalzare di eventi si alternano in un progetto in cui ciò che stupisce è, prima di tutto, la data della prima: 1846.
Il teatro erompe quindi dalla partitura della Damnation come un fenomeno naturale: il problema è incanalarne il flusso. Il regista Jean Kalman ha scelto una sola direzione, quella del simbolo, dell’astrazione, in un teatro fatto di sola luce, assolutamente statico e privo di azione. In pratica, ha fatto un oratorio in costume. Scelta riduttiva, anche se condotta con gusto: i quadri sono eleganti, i colori raffinati, con proiezioni in dissolvenza. Ma capire, senza le didascalie, dove si svolga l’azione e chi rappresentino i coristi, se pastori, soldati, demoni, dannati o spiriti eletti, è un’impresa: in assenza di movimento, inoltre, ogni ambiente - praterie, montagne, foreste, caverne, camera di Margherita, studio di Faust - si confonde e i contrasti si perdono. Meglio li mettono in evidenza i costumi di Emanuel Ungaro che sono eleganti, come è ovvio da parte di un grande stilista, e riescono a caratterizzare almeno i personaggi principali: quello nero di Mefistofele, con maschera di cuoio, spicca su tutti.
Se la serata, comunque, regge, il merito principale va all’esecuzione musicale, condotta da George Pehlivanian. Non si finirebbe più di scavare nelle stratificazioni dell’orchestra di Berlioz: il sovrapporsi simultaneo di ritmi diversi, le armonie strane, i colori mirabolanti, le melodie spezzate, la fantastica bizzarria, messa al servizio di un teatro d’avanguardia, generano vere e proprie allucinazioni sonore che Pehlivanian ha complessivamente valorizzato. E, se altro ci sarebbe stato da portare alla luce, in questa orchestra inesauribilmente fantastica, l’andamento generale era teso e sempre interessante. La compagnia di canto risponde bene alle intenzioni del direttore.
Sonia Ganassi è un’eccellente Margherita, dotata di voce calda e molto pastosa, ben compresa nel suo ruolo fondamentalmente lirico; Erwin Schrott è un Mefistofele scenicamente controllato, con qualche momento di esagerazione verista, ma complessivamente assai credibile; il tenore José Bros impersona Faust con un timbro di voce non felicissimo, ma con stile di canto sempre molto consapevole. Il coro, diretto da Marco Ozbic, contribuisce, insieme all’orchestra, a un’esecuzione che costituisce un’occasione da non perdere nel panorama di questa stagione.
Paolo Gallarati