di Gioachino Rossini
direttore: Enrique Mazzola
regia: Joan Font (Comediants), scene e costumi: Joan J. Guillén , coreografia: Zevi Dorca , luci: Albert Faura
con Simone Alaimo, Patrizia Cigna, Katarina Nikolic', Vincenzo Taormina, John Osborn, Daniela Barcellona, Bruno De Simone
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Teatro Comunale, dal 22 al 29 gennaio 2010
Joan Font del noto gruppo catalano dei Comediants aveva già messo in scena al Liceu una scialba Cenerentola; venerdì ha debuttato in Italia, al teatro del Maggio, con un’altrettanto scialba Italiana in Algeri. Da noi avrà successo perché si presta al solito equivoco italiano di confondere la regia d’opera con l’arredamento. Scene e costumi (di Joan Guillén) sono coloratissimi e piacevoli da guardare, ma poi finisce tutto lì: le idee latitano, i cantanti sono abbandonati a loro stessi, le uniche gag riuscite sono tutte già viste, si ride poco. Alla fine, l’Italiana in Firenze precedente, quella di Ponnelle, era paradossalmente più moderna (e dire che il mondo dell’opera internazionale pullula di registi geniali: perché in Italia non si vedano mai è uno dei tanti insondabili misteri delle nostre direzioni artistiche). È fiacco anche il direttore Enrique Mazzola. L’idea di fare un Rossini meno frenetico e fracassone del solito è lodevole e certe oasi d’incantato lirismo avrebbero fatto felici i rossiniani della prima ora, tipo Stendhal, che vedevano nel giovane Gioachino la reincarnazione di Cimarosa. Ma troppi momenti sono davvero troppo slentati, senza mordente o (il primo concertato, quello dell’Introduzione) pasticciati. Peccato perché la compagnia è buona. Simone Alaimo è ancora un Mustafà saporoso, benché i fiati siano diventati corti e John Osborn esibisce buoni acuti ma agilità confuse. Però Bruno de Simone è un Taddeo da incornicare e poi c’è una protagonista, Daniela Barcellona, che non solo canta benissimo (a parte un paio di acuti un po’ stiracchiati) ma soprattutto ha imparato con gli anni a mettere pepe e disinvoltura nel Rossini buffo: insomma, la sua Isabella non sembra più un Tancredi, come dire?, in «contro-travesti».
Alberto Mattioli