di Camille Saint-Saëns
direttore: Eliahu Inbal
regia: Michal Znaniecki, scene: Tiziano Santi
con José Cura / Andrew Richards, Julia Gertseva / Rossana Rinaldi, Mark Rucker / Angel Odena, Mario Luperi, Ivica Cikes
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, Teatro Comunale, dal 31 maggio al 8 giugno 2008
È un' opera piena di «ismi», Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns: erotismo, esotismo, misticismo, accademismo, arcaismo, sentimentalismo. Ma più ancora è opera erudita, frutto della migliore attitudine del suo autore, ch' è appunto la conoscenza profonda degli «oggetti» di cui si serve e la capacità di scivolare dall' uno all' altro senza smarrire i tratti di eleganza e fluidità che gli sono propri. Deve popolarità a un duetto d' amore che gareggia con la pagina omologa dei Pescatori di perle di Bizet per il titolo di migliore duetto d' amore del teatro ottocentesco e al Baccanale dell' ultimo atto, nel quale gli ingredienti di cui sopra si fondono come non mai. Eppure non si rappresenta granché. Un paragone con Carmen, per esempio, non è nemmeno proponibile, perché produrne un allestimento è impresa che spesso non ripaga l' impegno, gravoso in tutti i sensi. A Bologna però non si tirano indietro e mandano in scena uno spettacolo prodotto insieme coi teatri di Liegi, Trieste e Wroklaw. E hanno il merito di affidarne la direzione a un musicista sufficientemente esperto per navigare sicuro in questo mare additando ai passeggeri la bellezza del tragitto. Si tratta di Eliahu Inbal, uno concreto, pochi svolazzi e molta sostanza. Uno di quelli che in un paio di prove sa tracciare le coordinate giuste per ogni orchestra. Nella fattispecie, indugia un po' nei tempi ma li riempie di contenuti e di una bella pasta sonora. E poi segue i cantanti senza però assecondarne gli istinti. Perciò l' esito è godibile, e quantomai corretta la prova degli interpreti, ad eccezione dell' improbabile Gran Sacerdote di Mark Rucker. Bene Mario Superi come Abimelech; bene anche José Cura come Sansone. Recentemente sembrava rincorrere con esiti grami i bei tempi in cui la voce era un fiume in piena; adesso usa con buona «economia», anche stilistica, i mezzi di cui dispone. Molto brava inoltre Julia Gertseva cui tutti riconoscono un timbro di voce particolare e avvincente. E se sulla scena è un pezzo di marmo, non è detto che la colpa sia solo sua. La regia di Michal Znaniecki non è priva di idee e qualità. Soprattutto, ha il merito di cercare unità (mediante un impianto scenico squadrato, marmoreo) dove prevalgono spinte centrifughe. Il suo però è spettacolo privo di erotismo, sensualità e incanti. Né il Baccanale con la brutta coreografia di Aline Nari riscatta la durezza di questa regia: a meno di trovare seducenti i Filistei che stuprano le donne ebree. Belli i costumi. Applausi.
Enrico Girardi