Scritto e diretto da Grazia Isoardi
con gli attori Belkaoua Salah, Carpentieri Luciano, Climaco Al Faro Geovanny, Farci Massimiliano, Diamante Stefano, Herba Nabil, Jemenez Oscar, Mabrak Abdelilah, Maron Alberto, Naji Mourad, Stancu Daniel, Zanda Andrea
Coreografie di Marco Mucaria
Luci di Cristian Perria, Tecnico luci Berraouch Radouane, Tecnico di scena Baghdadi Adbel
Costumi Anastasia Pirogova, Fotografia Paolo Ciaberta
Voci Erranti Onlus
Casa di Reclusione "R. Morandi" di Saluzzo
Città di Saluzzo
con il sostegno della Compagnia di San Paolo di Torino
dal 25 al 28 settembre 2014
repliche autunnali per le scolaresche – prenotazioni obbligatorie
Su un bel disegno animato di luci e ombre si staglia una foresta di lupi. Sono dodici, hanno giubbotti pelosi e bicipiti esposti, si aggirano nell'immaginaria selva, che è anche quella dei desideri, di cui conoscono e temono la pericolosità, come attesterà più avanti il primo canto dell'Inferno di Dante, recitato con coscienza e lucidità, con sguardo fisso e corpo che freme per lo splendore dei versi, per l'incarnato delle parole. I lupi, belve ed intelletti, si aggirano nella fitta boscaglia delle umane menti e intanto si materializza la vicenda millenaria, vera, finta, scritta, orale, di Cappuccetto Rosso. Sul silenzio delle immagini proiettate un predatore ispanico narra di Cappuccetto. Snocciola i cardini di una pièce a stazioni, in andirivieni tra il teatro che gioca a se stesso e annulla e ricostruisce la quarta parete. Così si indagano necessità e crudeltà, se è fame, quindi natura, o morale, quindi altro, a guidare il lupo carnefice. E questa bambina poi, e questa madre irresponsabile, e questa nonna egoista, chi sono, e perché? Si susseguono dialoghi e gesti, quadri pittati di luci e poveri oggetti, come il cesto, appeso in alto e pieno di ghiottonerie, e poi grandi tavole imbandite e fantocci viventi, simili a nonne smunte, a dirigere le libagioni. Un lavoro intenso, vivo, da elogiare, recitato con la piena consapevolezza dello strumento teatro e con una cospicua e savia dose di ironia. E c'è una chiusa in levare che ammalia. Oltre la vita da lupi c'è un'alternativa, scevra di etichette religiose. C'è il perdono. Laico, immanente. Che tocca, cambia e, come l'arte, salva.
Maura Sesia