Anna Galiena, Debora Caprioglio, Caterina Murino
con la partecipazione di Paola Gassman
di Robert Thomas
adattamento Anna Galiena
regia e scene Guglielmo Ferro
e con Antonella Piccolo, Claudia Campagnola
Giulia Fiume, Maria Chiara Dimitri
musiche Massimiliano Pace
scene Fabiana Di Marco
disegno luci Aliberto Sagretti
costumi Françoise Raybaud
Produzione La Pirandelliana /Compagnia Molière /ABC Produzioni
Roma, Teatro Quirino dal 2 al 14 aprile 2019
Una perfetta famiglia borghese che si riunisce in occasione del Natale. Otto donne si aggirano per una grande casa di campagna lontana dalla città. Le vivande sul fuoco verranno presto servite a tavola. In una stanza dorme Marcel: uomo e padre di questa famiglia apparentemente serena. Unico personaggio maschile evocato ma che mai appare, egli riposa e ha chiesto di non essere disturbato. Giunta l'ora, la cameriera bussa alla porta del signore per svegliarlo. La apre e scopre l'orribile accaduto: Marcel è morto. È stato pugnalato alla schiena. Chi l'avrà ucciso? Chi, fra le donne presenti in casa, è la colpevole? Iniziano ad accumularsi sospetti, dubbi. Viene meno la fiducia tra le familiari. Man mano che le ore passano attendendo l'arrivo della polizia, le donne conversano confessando i vari peccati commessi. Ma chi di loro dice la verità? Chi mente? È questo lo spunto che dà il via a Otto donne e un mistero di Robert Thomas, in scena al Quirino per la regia di Guglielmo Ferro.
Spettacolo corale, d'insieme, con una compagnia di interpreti femminili ben affiatate, questa versione s'è mostrata essere discreta. Colpiscono, in particolare, i tempi di recitazione delle attrici. Ciascuna, a proprio modo, ha cercato di colorare il personaggio con un tic, una cadenza vocale, un portamento, una caratteristica nell'incedere. Anna Galiena ha dato vita ad una Gaby lievemente svampita che può sembrare sciocca mentre, invece, è donna scaltra che sa ben calcolare le situazioni per farle tornare a proprio vantaggio. Per Augustine, Debora Caprioglio ha scelto la chiave della caratterizzazione, con un non so che di farsesco e caricaturale che ben rivestono il personaggio. Elegante, raffinata, donna che rammenta i tipi femminili della belle époque la Mamy di Paola Gassman. Attrice dall'essenziale ma precisa movenza plastica del corpo, con vezzose tessiture nella modulazione vocale, espressioni mimiche ironiche, la Gassman ha dato allo spettacolo quel tocco di raffinatezza che rammenta gli spettacoli ben fatti degli anni Cinquanta o Sessanta.
Ciò detto ci si domanda: cos'ha voluto dire Ferro realizzando tale spettacolo? Si legge, nelle note di regia, che queste donne sono personificazioni distinte della Grande Madre. La quale, assumendo via via aspetti diversi, inscena l'estrema lotta della vita contro la morte al fine di difendere, a tutti i costi, una famelica e banale sopravvivenza.
In realtà la pièce, tradendo le intenzioni del regista, mostra la caduta delle ipocrisie e dei falsi pudori di una perfetta famiglia borghese piena di scheletri nell'armadio, che man mano vengono allo scoperto creando sempre più sdegno fra gli spettatori. Se avesse insistito su tale aspetto, lo spettacolo avrebbe assunto anche una certa rilevanza sul piano del contenuto. Ferro, però, ha privilegiato il lato ludico ed ironico, restando un passo indietro e mostrandosi pietoso verso quel fascino discreto della borghesia che Buñuel, da par suo, ha invece fustigato con ironica severità.
Pierluigi Pietricola