Gitiesse Artisti Riuniti
Marianella Bargilli, Ruben Rigillo, Silvia Siravo
con Carlo Greco
da Alexandre Dumas fils
adattamento scene e regia Matteo Tarasco
costumi Accademia Costume&Moda, Roma - 1964
diretta da Andrea Viotti
musiche Mario Incudine
luci Gigi Ascione
Roma, Teatro Quirino dal 27 febbraio al 11 marzo 2018
Che il teatro sia artificio, è indubbio. Come affermava Savinio, esso è il regno della fantasia. Ma questo luogo fantastico dove tutto è possibile, può permettersi di essere distaccato dalla realtà? Ecco correre in soccorso Aristotele, che afferma che sulla scena non si raccontano storie d'invenzione, ma verosimili: che possono, cioè, accadere (ma non è detto che avvengano ad ogni costo). Questa querelle è vera ancora oggi?
È la domanda che sorge guardando La signora delle camelie in scena al Teatro Quirino di Roma. Spettacolo che, ad esser sinceri, può risultare anomalo nel panorama della stagione romana. Il punto è: la storia dell'amore impossibile fra un nobile che vive di rendita ed una cortigiana tisica giunta alla fine della sua vita, cosa può dire dei nostri tempi? O per riprendere il concetto aristotelico di verosimiglianza: in che modo questa situazione può accadere nella realtà del nostro quotidiano?
La scena nella quale si svolge la vicenda è essenziale all'estremo: un pesante panneggio rosso, simile a un grande sipario, riveste tutto il palcoscenico. Nessun mobilio, eccettuato un tavolino con due sedie e un sofà che vengono posizionati a seconda delle esigenze. Nessun elemento di più.
La pièce, nell'insieme, viene recitata modestamente bene. E però tanto Ruben Rigillo nei panni di Armando, che Marianna Bargilli in quelli di Marguerite Gautier (la dama delle camelie), assomigliano – mutatis mutandis – agli attori manichini tipici di Mejerchol'd; tranne che a giustificare questa fissità non vi è un palcoscenico il cui spazio, ridotto all'essenziale, limita le movenze degli interpreti. Come spiegare, allora, questa rigidità?
Nelle note di regia si legge che questo spettacolo vuole recuperare il valore della parola poetica per mezzo della fascinazione del palcoscenico. E sia. Ma messa così, sembra più un'operazione filologica di studio accademico che teatrale. Recuperare il passato, in ogni forma ed atmosfera, piuttosto che tentare di instaurare un dialogo, un confronto per chiave di metafora, col mondo contemporaneo.
È inevitabile che anche la recitazione ne risenta. Gli interpreti non aderiscono in pieno ai ruoli. Li guardano con incredulità e quasi con sospetto. Non che si debba ottenere, ad ogni costo, l'immedesimazione. Ma dubitare del proprio personaggio è ben altra cosa dal recitarlo straniato come voleva Bertolt Brecht.
Le musiche (di Mario Incudine), che dovrebbero sottolineare i cambi di quadro e i mutamenti di climax, sono poco coerenti con lo svolgimento dell'azione drammatica. Procedono parallelamente, senza mai divenire un'unica cosa con lo spettacolo.
Una Signora delle camelie, questa di Matteo Tarasco, dal vago sentore di naftalina. Che si può guardare con un minimo di diletto, ma che non riesce a far presa sul nostro tempo. Neppure sfruttando l'argomento dell'interesse economico che travalica quello sentimentale. Immagine esautorata dalle troppe vicende – queste ultime tragicamente vere, purtroppo – del nostro quotidiano.
Pierluigi Pietricola