di Gioachino Rossini
direttore: Antonio Pappano
con Michele Pertusi, John Osborn, Norah Amsellem, Ellie Dehn, Alex Esposito
Orchestra e Coro dell'Accademia di Santa Cecilia
Roma, Auditorium Parco della Musica, 24, 26 e 28 novembre 2007
Il Guglielmo Tell si chiude con una serie di arpeggi ascendenti seguiti ciascuno da tre scalette discendenti: in una proiettiva «melodia infinita» per le arcane concatenazioni armoniche in base alle quali la figura è ripetuta, accrescendosi una tensione che diviene insopportabile, fino al liberatorio accordo finale, pur esso ampiamente arpeggiato. È il punto sommo dell' arte di Rossini ed è momento di estasi panica. Che cosa più dell' estasi panica penseremmo più lontano dal Pesarese? Ma quest' Opera francese, come tutti sanno l' ultima di un uomo ancor giovane, contiene molto di lontano da tutto il resto la preceda. In estrema sintesi, la contrapposizione può porsi così. In termini quantitativi, Rossini ha prodotto assai più Opere Serie (italiane) che non comiche. Alta è già in Italia la sua statura di compositore tragico: con qualcosa che tuttavia l' aduggia. Nell' Elisabetta, nell' Otello, nel Mosè in Egitto, nella Semiramide, Rossini non vuole, o non può, saldare l' arco unitario della tensione drammatica. A brani di nobilissimo o furente carattere tragico alterna, quasi per contrappeso, brani dal carattere di mero arabesco, astratti. In parte ciò si deve alla fedeltà portata da Rossini all' estetica neoclassica del «Bello Ideale». In parte al fatto che le locuzioni del suo linguaggio musicale sono da lui considerate indifferenziatamente e, di nuovo, in astratto, sicché nei brani «di contrappeso» noi ne troviamo di tali che per l' abitudine nostra a tale accoppiamento associamo all' espressione comica. Col Guillaume Tell Rossini, visto il Giove della musica, fu costretto per la prima volta a eliminare i contrappesi, o a sostituirli con tutti i brani «di paesaggio» che contribuiscono a rendere il capolavoro la fondazione del Grand-Opéra francese. Con studio e fatica infiniti dovette creare un' Opera in stile interamente drammatico, l' ossatura della quale sono austeri e scolpiti Recitativi in francese. Il Grandioso e il Patetico, nei quali fa centro sempre, insieme col già citato Pittoresco, a tratti un po' lezioso. Due Arie, quella del soprano e del tenore, d' insuperabile bellezza, e un Arioso di Tell, Sois immobile, fra i più alti della musica teatrale. Ci lasciò un monumento ma insieme, alla lettera, si distrusse per lo sforzo. Già tutta la sua carriera all' insegna di una nevrotica fretta che avrebbe minato qualsiasi psiche: su questo le responsabilità da Giove. Rimase freddo tronco assalito da incubi e atroci sofferenze psicosomatiche. Nel Novecento la stenta carriera del Tell è sempre stata in lingua italiana. L'Accademia di Santa Cecilia ne offre ora una sontuosa edizione in francese e integrale, se si eccettuano i Balletti del III atto, sotto la direzione di Antonio Pappano. Il geniale maestro, al quale si deve una straordinaria cura nella realizzazione dei Recitativi in un' Opera di Recitativi, ripetiamo, in gran parte fatta, possiede un tal passo drammatico che l' esecuzione in forma di concerto risulta plastica nell' azione («dramma») più di qualsiasi altra scenica. Al tempo stesso egli è un cesellatore di partiture, sicché i particolari di quella più profondamente concepita da Rossini scaturiscono con meravigliosa brillantezza. Cura con infinito amore gli accompagnamenti di solisti e coro, ora impellendo, ora indugiando, sempre aiutando, col suo gesto apparentemente così semplice. Si sa che la parte del tenore, scritta per Adolphe Nourrit e ripresa dalla splendente giovinezza di Duprez è oggi la principale difficoltà dell' Opera: il mancarne l' interprete costringe i teatri alla resa. Santa Cecilia trova un giovane americano, John Osborn, dalla squisita dizione e dal bel timbro, che canta i do non di petto ma nemmeno di falsettone, sibbene con una raffinatissima emissione mista che scatena il pubblico. Michele Pertusi è un degno Guglielmo. Norah Amsellem, pur essendo un soprano lirico-leggero e non eccellendo particolarmente nella fonazione articolata, è una nobilissima Matilde. Celso Albelo si disimpegna a meraviglia nella breve ma insidiosissima parte del Pescatore. Ellie Dehn e Laura Polverelli ornano inoltre la nutrita compagnia. Non solo l' entusiastico successo ma la riflessione permette di considerare di valore storico la serata.
Paolo Isotta