Giuseppe Verdi
Grand-opéra in cinque atti
prima esecuzione a Palermo dell’edizione in lingua francese
Direttore Omer Meir Wellber
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Movimenti scenici Sandro Maria Campagna
Coreografia Manuela Lo Sicco
Light designer Cristian Zucaro
Assistente alla regia Federico Gagliardi
Assistente alle scene Roberto Tusa
Assistente ai costumi Chicca Ruocco
Nuovo allestimento in coproduzione con Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Comunale di Bologna e Teatro Real di Madrid
La prima di giovedì 20 gennaio sarà trasmessa in diretta streaming sulla WebTV del Teatro e su Arte.
Personaggi e interpreti
La duchesse Hélène Selene Zanetti (20, 23, 26) / Maritina Tampakopoulos (22, 25)
Ninetta Carlotta Vichi
Henri Leonardo Caimi (20, 23, 26) / Giulio Pelligra (22, 25)
Guy de Montfort Mattia Olivieri (20, 23, 26) / Gezim Myshketa (22, 25)
Jean Procida Erwin Schrott (20) / Luca Tittoto (23, 26) / Fabrizio Beggi (22, 25)
Thibault Matteo Mezzaro
Danieli Francesco Pittari
Mainfroid Pietro Luppina
Robert Alessio Verna
Le sire de Béthune Ugo Guagliardo / Andrea Pellegrini
Le comte de Vaudemont Gabriele Sagona
AUTUNNO
La ballerina Carmen Marcuccio
In palcoscenico
Fisarmonica Ruggiero Mascellino
Clarinetto Carmelo Colajanni
Contrabbasso Massimo Patti
Orchestrazione di Keren Kagarlitsky
PRIMAVERA
Due sposi Noemi Ferrante, Gaetano La Mantia
ESTATE
Prete Gaetano La Mantia
Quattro spose e Pesci Noemi Ferrante, Carmen Marcuccio, Alessia Pollini, Giada Scimemi
Attori della Compagnia Sud Costa Occidentale
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo
Maestro del Coro Ciro Visco
Direttore del Corpo di ballo Davide Bombana
Stagione 2021-2022
Teatro Massimo – Palermo Dal 20 al 26 gennaio 2022
Cinque pupi siciliani ad altezza d’uomo vengono scaraventati sul proscenio. Subito dopo la bacchetta magica di Omer Meir Wellber comincia zigzagare in aria dando vita ad un’impetuosa ouverture del gran opera Les vêpres siciliennes di Verdi in edizione francese su libretto di Scribe Augustin-Eugène e Duveyrier Charles, certamente una delle migliori del maestro di Busseto, dominata da un lungo assolo di violoncello, tratto dal duetto tra Henri e Guy de Monfort del terzo atto. I pupi cominciano a svegliarsi muovendosi al ritmo di danza, caracollando sulle loro lucide corazze e brandendo le durlindane. Si apre il sipario tra i tanti sussurri di meraviglia degli eleganti spettatori del Teatro Massimo assiepati uno accanto all’altro rigorosamente in mascherina sul viso, registrando la sera della prima il tutto esaurito. Invero è un bel colpo d’occhio la scenografia di Carmine Maringola, compagno di Emma Dante che firma una delle sue più strepitose regie, subito resa manifesta da quella miniaturizzata Fontana delle Vergogne di Piazza Pretoria, dominata da alcune nude marmoree sculture qui con teste di animali. Una scena che sarebbe piaciuta pure a Renato Guttuso che ne avrebbe realizzato una grande tela dai colori espressionisti, in cui si vede in lato il popolo siciliano con gli abiti listati a lutto e dal lato opposto i soldati francesi invasori con tute azzurre ma anche d’un tenue malva, tinteggiato di rosso (pertinenti i costumi di Vanessa Sannino) in mezzo ai quali si scorgono due ambulanti, uno su ogni lato della scena, con i propri carrettini da street-food, che friggono panelle e crocchette, e arrostiscono stigghiole (interiora di bovini/ovini), sprigionando nuvoloni di fumo che salgono in alto, sentendomi per un attimo in quella grandissima e incasinatissima piazza di Marrakech in cui si scorgono e si vendono le cose più strane e si respirano odori di ogni tipo di spezie. Siamo invece a Palermo, bellezza! In una città che più di 700 anni fa ha vissuto una memorabile rivolta dei suoi cittadini scacciando all’imbrunire del giorno, appunto all’ora del vespro d’un lunedì dell’angelo del 1282 i francesi angioini, la cui vulgata popolare vuole che chi non pronunciasse bene il nome di “ciceri” venisse scannato all’istante. È la Palermo sanguigna di Emma Dante, fotogramma quasi di alcune pellicole illusioniste di Georges Méliès, che si dipana realisticamente in cinque atti divisi in tre parti per quasi quattro ore di spettacolo con due intervalli. Una Palermo ferita che ricorda i suoi morti ammazzati dalla mafia con dei gonfaloni che sfilano sulla scena con le facce dei vari Falcone, Borsellino, Mattarella, Libero Grassi, Peppino Impastato, Don Puglisi, Pippo Fava e tanti altri ancora tra giudici, politici, giornalisti e semplici uomini e donne mentre svolgevano il proprio lavoro. I mafiosi di oggi sono i francesi di ieri, quelli che oggi la palermitudine di Emma Dante vuole vedere definitivamente soccombere per vivere in pace in una terra senza sangue da cui dovrà sprizzare solo bellezza e cultura. Sono tanti i momenti belli di questi Vespri siciliani in lingua francese, resi memorabili da un’ottima esecuzione dell’Orchestra del Teatro Massimo ipnotizzata dalla bacchetta di Wellber che insieme alla Dante hanno condiviso i momenti più salienti dell’opera, compreso il balletto delle “quattro stagioni”, non appesantendo così il suo incedere, come avviene alla fine del primo atto quando un’orchestrina con fisarmonica, violoncello e clarinetto intona una deliziosa tarantella “disturbata” da un gruppo di figuranti che getta sul palco ogni tipo di rifiuti. Se si vuole, il plot dell’opera sembra un feuilleton - una soap opera l’ha definita Emma Dante - in cui collateralmente all’occupazione francese in Sicilia e ai tentativi dei siciliani di schiacciarli, si dipana il racconto amoroso tra l’Henri del tenore Leonardo Caimi e la duchessa Hélène del soprano Selene Zanetti, (entrambi dalle voci ineccepibili) alla quale i francesi capitanati da Guy de Monfort (quasi un super-eroe quello del baritono Mattia Olivieri per come è agghindato con quel lungo mantello nero con interni rossi) le hanno ammazzato il fratello e che il moroso le giura di vendicare. L’arrivo dell’esiliato Jean Procida un tempo pure a capo dei patrioti siciliani (è l’ungherese Erwin Schrott a dargli vita con grande enfasi, forse il basso più bravo in circolazione nel mondo lirico) è salutato con delle barche che volano in aria ma pure in basso ad occupare tutta la scena, scuotendo gli animi avviliti dei palermitani, ponendosi subito a capo della resistenza e intonando forse il brano più famoso dell’opera (E tu, Palermo, o bellezza oltraggiata/…alza la tua fronte china sotto la schiavitù/e diventa di nuovo la regina della città…). Sono tanti i momenti visivi di grande suggestione in cui si riconosce lo stile emmadantiano: un gruppo di donne immergono i loro lunghi capelli all’interno d tinozze piene d’acqua facendoli poi volteggiare in alto disegnando schizzi semilunari: le targhe delle vie di Palermo che scendono sul fondo scena con le scritte delle tante vie e piazze di Palermo (Via D’Amelio, Pizza Marina…) dove si sono compiuti i delitti mafiosi: la cosca di soldati francesi che al pari di quegli antichi romani rinnovano i fasti indegni del “ratto delle sabine”, caricandosi sulle spalle le nostre donne dentro sacchi neri di spazzatura, mentre un altro gruppo di militari tiene a bada con le pistole puntate quei compagni che vorrebbero intervenire: un altro gruppo di donne simula il parto alzando tra le mani i propri neonati (finti), allorquando si scopre che Henri è figlio d’una donna morente che non si vede mai in scena e di Monfort che a sua volta farà di tutto per farsi chiamare padre: il ballo nel palazzo tutto d’oro di quest’ultimo con i luccicanti invitati con vistosi copricapo riproducenti teste di ceramica, in un finale che vedrà in scena pure la Santuzza, una giovane abbigliata come Santa Rosalia e attorniata da sei danzatrici col petto illuminato da tante lucette. Un rintocco di campana infine segnerà l’inizio della carneficina del popolo angioino, quasi una mattanza dei loro corpi simili a dei tonni trascinati fuori scena dai nostri picciotti all’interno di reti da pesca. Uno spettacolo superlativo e applausi scroscianti duranti circa otto minuti.
Gigi Giacobbe