di Thomas Bernhard
dal romanzo Alte Meister
traduzione Anna Ruchat
drammaturgia Fabrizio Sinisi
con Sandro Lombardi, Martino D’Amico, Alessandro Burzotta
regia Federico Tiezzi
scene e costumi Gregorio Zurla
luci Gianni Pollini
video Nicola Bellucci
Compagnia Lombardi -Tiezzi
Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale
con la collaborazione di Napoli Teatro Festival Italia
Teatro Gobetti, Torino 19 novembre 2022
Un feroce divertissement, una farsa dolorosa, in cui nulla sostanzialmente accade. Il pessimismo del protagonista, la sua condizione di impotenza e solitudine, il suo marcato disprezzo per gli esseri umani, per l’arte, la musica, la letteratura e la filosofia (in particolare quelle tedesche e austriache) non attivano alcun mutamento nel corso dell’azione e solo sul finale trovano una possibile giustificazione. Vengono dichiarati e descritti in prima persona da Reger, il personaggio principale, con lucidità e un cinismo che spesso rasenta la parodia, e contemporaneamente raccontati, con un distacco quasi beckettiano, da Alzbacher, impegnato a registrare e trascrivere i contenuti. Eppure si viene travolti e affascinati da questo incessante fiume di parole, gravoso ma mai noioso, che ci costringe ripetutamente a cambiare punto di vista e persino d’asse temporale. Merito dell’elegante e ingegnosa messa in scena di Federico Tiezzi, che rende fluido e intenso un testo complesso, e dell’eccellente resa drammaturgica di Fabrizio Sinisi, abile nel conservare il caratteristico stile e crescendo musicale che si ritrova nella scrittura di Thomas Bernhard, in particolare nei testi teatrali. Altrettanto determinante è l’impeccabile interpretazione degli attori, che recitano per buona parte dello spettacolo di spalle, costringendoci ad assumere il loro stesso punto di vista, a guardarli – seduti sulle panche di una sala di museo – guardare, contemplare i dipinti esposti, uno in particolare: il “Ritratto di uomo dalla barba bianca” di Tintoretto. All’interno di una leggera ed essenziale struttura di tubi innocenti percorsi da luci al neon, che delineano geometricamente il perimetro di una sala museale, i tre personaggi (Reger, l’anziano musicologo e appassionato d’arte, divenuto dopo la morte della moglie ancor più sprezzante nei confronti della vita; Atzbacher, il giovane scrittore che in Reger riconosce una sorta di “padre spirituale”; Illsigler, il custode del museo, privato della parola, le cui movenze e gestualità fortemente stilizzate e caricaturali rimandano al linguaggio del pagliaccio malinconico e contrastano nettamente con la verbosità e lo spessore intellettuale dei due interlocutori) compiono minimi spostamenti di posizione che marcano il passaggio da un quadro all’altro, anche se – come si è detto – nella sostanza nulla cambia. Ciò che veniamo a scoprire alla fine del racconto è già noto a chi lo racconta: non è infatti la prima volta (né plausibilmente sarà l’ultima) che Reger ricorda ad Atzbacher che in quella stanza, nella sala Bordone del Kunsthistorichen Museum, seduto su quella panca, di fronte a quel quadro di Tintoretto, conobbe molti anni prima l’amata moglie, in seguito alla cui morte gli è diventato ancor più difficile apprezzare e amare l’arte, di per sé imperfetta, la musica, il teatro, riconoscerne il senso e l’autenticità, pur essendo costretto in conclusione ad ammettere – dopo mille elucubrazioni - che sono proprio questi, gli Antichi Maestri, ogni giorno a salvarlo, a proteggerlo dalla mediocrità, a farlo sentire un “vero essere umano che pensa e sente”.
Interessante la scelta sonora di accostare la musica elettronica dei Kraften, gruppo musicale degli anni Settanta, e quella punk-rock di Nina Hagen, degli anni Ottanta, rispettivamente a inizio e fine spettacolo, facendole confluire e derivare dai valzer di Johan Strauss. Il contrasto che si avverte è forte, straniante, come lo è la regia delle luci (Gianni Pollini), a tratti persino aggressiva, in sintonia con il testo e la regia.
Esilarante il pezzo sulla lunghezza dei pantaloni di Reger, tratto da un testo teatrale di Bernhard, “L’apparenza inganna”, in cui ancora una volta si misura la bravura e la versatilità degli interpreti, Sandro Lombardi, Martino D’Amico e Alessandro Burzotta, a lungo e meritatamente applauditi dal pubblico in sala.
Francesca Maria Rizzotti