di Luciano Violante
con Viola Graziosi
scene Giuseppe Dipasquale
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
regia Giuseppe Dipasquale
76.mo Ciclo di Spettacoli Classici
Vicenza, Teatro Olimpico, 5, 6, 7 ottobre 2023 PRIMA NAZIONALE
Come si conviene nei modi, versi, e intenzioni ecco la Circe spietata e cinica, ecco la figura mitologica qui scritta da Luciano Violante, dopo altre due introspezioni dell’ex politico su Clitemnestra e Medea, uno scavo letterale e impegnativo nella figura femminile complessa e portatrice del dolore altrui. Ma Circe è anche la donna maiuscola determinata, che va dritta dritta al suo cammino, ed è fatto di insegnamenti, fonti di luce, caparbietà e lucida visione. Va detto subito che la messa in scena di Giuseppe Dipasquale affascina e ammalia, e va di pari passo con la gran bella interpretazione di Viola Graziosi, dalle grida e dai sussurri lancinanti, a piè di voce e di variazioni acute o minori. Nel monologo ossessivo e perspicacemente delirante Circe delinea un accattivante esercizio verbale e ancora carisma, traendone conseguenze proprie, meschinità ma anche arguzie, visioni nuove, o meglio calate anche in un futuro, che poi anche qui è presente. Circe osserva, condanna, sentenzia i suoi incontri, li confina e li distrugge. Mito antico, certo, che fa profezia di vera e assatanata ragione di ciò che dell’umana, l’essenza, appare e traspare, comunicando quanto di tragedia letterale ci sia nell’antico e nel moderno. Gli incontri della regina non si contano, si vivono ed è un viaggio perenne tra sogno e realtà, in oceani profondi, ma anche in terre e mari più vicine a noi, e gli eroi trovati sono il fior fiore delle persone, oggi: i liberi ma perduti, i semplici e gli umili. Quasi tutti. Nel lavoro presentato, prodotto dal Teatro di Roma – Tetro Nazionale, tutto si svolge e si stempera, alla presenza di disperati e incognite: ecco dunque apparire Giuda e anche Anna Achmatova, l’immensa poetessa russa, ma tutto si focalizza più e più in Odisseo che non è un’entità astratta ma si vede, quasi si tocca con mano. Lo sforzo di Circe è enorme, i suoi gesti narrati parlano di coercizione, sono anatemi lanciati senza dubbi. E’ il suo ardire che vince, quel coraggioso scatenarsi che serve a interpretare cattiverie altrui e infinite. La regina è la donna che serve per raddrizzare la barra, e l’esercizio linguistico, interpretativo, registico non manca di speciale raffinatezza. Che riguarda da vicino come accennato fin da prima l’interpretazione di Viola Graziosi, che offre solidità e formazione, sicurezza da gran scuola. E la regia di Dipasquale, attenta e misuratissima, mai eccedente, se non per la parte scenografica, meglio, quella della parte videotecnologica, dei filmati che sono troppi, riducono l’essenza del classico e limitano la forza espressiva e onirica. E’ una riflessione a tratti un po’ ardua, ma potente, abbellita da una scenografia d’impatto, e dal costume di scena, regale davvero, che danno a loro volta elementi in più di bellezza. Come le variazioni verbali che l’attrice fa, e il contorno arabeggiante dei suoni e dei canti. Una prima nazionale, che ha visto al debutto la presenza dell’autore, magistrato ed ex Presidente della Camera dei Deputati. Circe appare come una specie di salvezza dell’anima, un resoconto del vissuto. Un appello a provare a fidarsi, testimone dell’esistenza rumorosa, confusa, traditrice e meschina. Francesco Bettin