di Giovanni Testori
raccontato e interpretato da Sandro Lombardi
Roma, Museo dell’Ara Pacis, 12 settembre 2008
Nella spettacolare cornice del Museo dell’Ara Pacis si è conclusa la seconda edizione della manifestazione “Musei d’Estate. Quando l’arte diventa spettacolo”, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma in collaborazione con Zètema Progetto Cultura. In programma l’evento conclusivo gratuito: Erodiàs nella riduzione e interpretazione dell’affezionato Sandro Lombardi, testo già rappresentato lo scorso maggio in un luogo parimenti suggestivo come il cortile del Museo Nazionale del Bargello di Firenze in occasione del Maggio Fiorentino. Lombardi, dopo i consensi riportati con Edipus, Cleopatràs, Due Lai e L’Ambleto che gli sono valsi altrettanti Premi Ubu come miglior interprete maschile, ritorna al teatro di Testori con un assolo dedicato a Eriodade.
Erodias è il pannello centrale dell trittico I tre lai che l’autore dedica a tre figure femminili dell’antichità: Cleopatra, Erodiade e la Madonna.
Scritti durante l’ultima parte della malattia e pubblicati postumi, questi tre compianti, quasi un testamento poetico, si presentano come tre conversazioni con la morte che ognuna delle eroine affronta a proprio modo. Ed è un lamento di morte che dà avvio al dramma interpretato nella finzione scenica da un attore che recita, in un qualche sperduto paesino brianzolo, la figura biblica. In realtà Erodiade, china su una immaginaria testa mozzata di Giovanni Battista, piange d’amore, ricordando gli eventi trascorsi attraverso la cruda carnalità del linguaggio scenico di Testori, una sapiente commistione di dialetto lombardo e italiano.
Testori, con le sue evoluzioni artistiche e lessicali, è autore che costringe l’attore a tirar fuori tutto di sé. Ed è proprio questo che fa Lombardi in questo monolgo farcito sapidamente qua e e là dallo stesso Lombardi, si lascia penetrare dal fiume di parole finendo così per possederle dall’interno. Troppe volte però l’interprete, uscendo dal personaggio, sente l’esigenza di evidenziare e chiarire alcuni passaggi. Qualche interruzione di meno avrebbe maggiormente giovato alla godibilità della serata.
Il monumento alla pace augustea come sfondo ideale obbliga e giustifica l’assenza di scene e costumi. L’attore, in un rigoroso abito nero, si concede soltanto il vezzo di un paio di sandali che lasciano scoperti i piedi.
Complice della magia della serata, una torrenziale e tanto attesa pioggia che si abbatteva sulle vetrate disegnate da Meier, a tratti illuminate a giorno da improvvisi fulmini a sottolineare i momenti drammaturgici più alti.
Alle note del lamento di Didone, When I am laid in Earth, tratto da Didone e Enea di Henry Purcell il compito di introdurre ed avvolgere lo spettatore nell’attesa, mentre l’audio di un graffiante Vasco Rossi accompagnava sottofondo i calorosi applausi del pubblico a questo paradossale inno alla vita segnata dal dolore e dal male.
Cosimo Manicone