drammaturgia e regia di Sergio Ariotti
liberamente tratto da Noi rifugiati di Hannah Arendt
con Francesca Cutolo
aiuto regista Andrea Luchetta
assistente Beatrice Biondi
immagini Andrea Macchia
costumi TPE–Teatro Piemonte Europa con la consulenza di Augusta Tibaldeschi
sarta Milena Nicoletti
tecnico Emanuele Vallinotti
una produzione Fondazione TPE – Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi
Teatro Gobetti – Sala Pasolini, Torino, 23 ottobre 2024
Una scrivania, la bandiera americana, una valigia cassetto della memoria da dove estrarre oggetti dal forte valore simbolico: è questa la cornice al cui interno prende forma il ritratto di Hannah, monologo con Francesca Cutolo dar voce all’originale drammaturgia di Sergio Ariotti ispirata alla vita ed alle opere di Hannah Arendt. In prima assoluta per il Festival delle Colline Torinesi, il progetto di Ariotti è un teatrale Giano bifronte dove la prima parte, ambientata tra le due guerre e riconducibile al saggio Noi rifugiati, vede la Arendt discutere di migrazione e diritti umani, accoglienza e partecipazione, concetti chiave del suo pensiero quanto universali e presenti con prepotenza ancor oggi nel dibattito quotidiano. E se tra le righe risuona la terrificante eco di parole come Auschwitz e deportazione, ad emergere è il ritratto di una donna coraggiosa ed avveduta che dalla sua indole di apolide ha tratto viva ispirazione per una serie di sofferte e lucide testimonianze sulla stagione del nazismo, con lo spettro di Hitler e delle sue tragiche scelte far capolino come nefasti presentimenti. A seguire, dopo un breve stacco che proietta lo spettatore nel futuro, ritroviamo Hannah Arendt di fronte a due leggii, illuminata da altrettanti piazzati, muoversi tra i suoi scritti che parlano del processo Eichmann come della questione araba, concentrandosi sulla controversa nascita dello Stato di Israele in una prospettiva che per lei, ebrea per molti aspetti sui generis, è vissuta come pericoloso elemento di destabilizzazione dell’intera area geografica di riferimento. Accusata di non provare “amore per il popolo ebraico”, della filosofa tedesca emerge tutto l’acume intellettuale, spiazzante lucidità che l’applaudita resa scenica di Francesca Cutolo assolutizza con la necessaria intensità come simbolo di una memoria più che mai valore prima da conoscere, poi da preservare e difendere. Roberto Canavesi