Si può raccontare la morte, il rapporto con chi non c'è più con leggerezza e alla fine in quel rapporto scoprire la vita che non ti attendi? Si può e Alvis Hermanis nella sua
Spoon River,
Kapusvekti – Graveyard Party ci riesce con grande eleganza, ironia, raffinata comicità, mai disgiunta da un senso di delicata commozione. Affidandosi alle fotografie di Martinš Grauds e ad un ensemble di attori/musicisti che 'rappresentano' la banda che accompagna la Festa dei morti che si celebra in agosto a Riga, il regista lettone costruisce uno spettacolo che vive di leggerezza, documenta con passione e senza retorica come morte e vita s'intreccino, come il dialogo con chi non c'è più sia reale e aggregante, sia speranza e non solo un bisogno di colmare il vuoto dell'assenza. Il viaggio parte dal cimitero centrale di Vienna e fa tappa a Riga in occasione della festa dei morti, una tradizione che unisce generazioni di lettoni, che coniuga il senso della morte con la festa di famiglia. All'occhio dello spettatore italiano fanno specie quelle foto che ritraggono persone in abiti estivi, ragazze con minigonne e uomini in maniche di camice, ma tutti in un certo qual modo eleganti, con quell'eleganza un po' passata che caratterizza le popolazioni dell'Est agli occhi di chi vive da mezzo secolo l'opulenza del capitalismo. Questa cornice estivo la dice lunga sul rapporto 'solare', affettivo che in altri Paesi caratterizza il dialogo con i morti e alla fine il rapporto con la morte. Nei cimiteri lettoni le tombe sono luoghi su cui sostare, non sono monumenti austeri o esteticamente ricercati, ma piuttosto raccontano nella semplicità e a volte nel gusto un po' kitsch chi era il defunto. In tutto ciò c'è un'ostinazione a vivere e della vita che Hermanis concentra nel legame fra le immagini in bianco e nero di Martinš Grauds e le storie raccontate dagli attori, storie in cui si sorride e ci si commuove. C'è chi aspira a fare l'oratore per defunti di professione, chi fa il musicista ai funerali, chi al funerale del proprio congiunto ha trovato l'anima gemella: si tratta di piccoli racconti di vita per immagini, musica e parole che hanno l'immediatezza di certi elzeviri, hanno la delicatezza di certi piccoli quadri di situazione in cui la semplicità della vita esce con immediata dolcezza. Ed anche alla fine quando alle foto in bianco e nero della Festa lettone dei morti si affiancano quelle colorate della medesima festa, ma celebrata in Messico, Alvis Hermanis riesce a sfuggire a un semplice e didascalico parallelismo, ma affida alla forza del colore il suo messaggio di vita, di struggente attaccamento all'esistenza che si costruisce solo nel disteso e sereno rapporto con l'unica nostra certezza: che prima o poi bisogna morire.
Kapusvekti – Graveyard Party nella sua semplicità, nel perfetto intreccio di musica, immagini e parole è uno spettacolo in forma di oratorio che rimane nel cuore che conferma la capacità poetica e narrante del regista lettone, Alvis Hermanis e del suo modo di intendere il teatro come un'esperienza che ci accomuna, che racconta di noi, dialoga con la vita, anche quando racconta della Festa dei morti.
Nicola Arrigoni