testo e regia: Antimo Casertano
con: Daniela Ioia, Ciro Esposito, Francesca De Niolais, Luigi Credendino,
Gianluca Vesce, Lucienne Perreca, Antimo Casertano
musiche originali: Paky Di Maio
costumi: Pina Sorrentino
scenografia: Flaviano Barbarisi
disegno luci: Paco Summonte
assistente alla regia: Alfonso D’Auria
si ringrazia Casa Zen
un progetto Compagnia Teatro Insania
produzione Ente Teatro Cronaca, Fondazione Solares di Parma
Testo Vincitore del Premio Nuove Sensibilità 2.0 2022
Premio Fersen, Premio Antonio Conti di Pesaro
Premio Speciale Felicetta Confessore – ritratti di territorio
Progetto finalista al Premio alle arti sceniche Dante Cappelletti
Visto al Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari il 29 maggio 2024
Teatro epico e d’emozione “Mare di Ruggine” visto a Castrovillari per Primavera dei Teatri “Quella che sto per raccontarti stasera è una favola. /Una favola che proprio favola non è ”: questo l’avvio del magnifico “Mare di ruggine”, dove c’è sì un “c’era una volta”, che è straordinario susseguirsi di azioni ad alto livello di teatralità nel narrare eventi che attraversano i decenni, coinvolgono generazioni, ma nella realtà della Storia in un presente senza finale “ancora tutto da scrivere”. Tra i protagonisti un mostro che non ha nulla di favolistico, ma è la vasta struttura di Bagnoli, un posto di lavoro a cui aspirare - e dove si può morire, d’incidenti negli altiforni, di malattia con l’eternit. Perfetta la scenografia di color ferro ossidato, con spazi che si aprono di luce come per la fusione di metalli, piani articolati, elementi che scendono dall’alto: c’è la fatica quotidiana in ritmi che consumano, ma è lavoro, sempre così prezioso, in particolare nel territorio di Napoli. Valeria Ottolenghi
Progetto di Teatro Insania, produzione Ente Teatro Cronaca e Solares
Spettacolo perfetto per drammaturgia, ritmo, affiatamento tra gli attori
Si fa la fila, si aspetta trepidanti in attesa del colloquio, con la speranza dell’assunzione. Per entrare “ci vogliono mani e salute di ferro”. E lì si produce ferro, per tutto il paese. S’inizia da lontano, anni trenta, il cantiere in mano all’IRI, il personale in aumento. Posto fisso. C’è sofferenza nel tempo che scorre, ma anche ironia, che evoca a tratti il Dario Fo dei testi teatrali di protesta con scene a incastro, e anche un po’ il terzo teatro, per l’uso degli oggetti, i ruoli che scivolano dall’uno all’altro senza timore: tutto ha un senso forte per le singole persone/ personaggi, per quanto accade in quel mondo di fumi che bruciano i polmoni.
Il racconto avanza per capitoli. Anche per sapere come funziona l’altoforno, che non deve spegnersi mai, dentro cui a volte qualcuno cade. L’ossigeno è introdotto attraverso una lunga canna, quasi una lancia da cavaliere antico: così il bisnonno, per quel “c’era una volta”. Il primo giorno è peggio dell’inferno, poi in qualche modo ci si abitua, gli altri operai quasi una famiglia. Ogni passaggio ha un suo ritmo, con l’intervento di diverse figure femminili, una delizia per esempio Claudia, quasi una filastrocca il suo cucire tra rammendi e rattoppi - con sfumature di poesia: ricama le trame della vita, a mano libera, “con lu core”. E per Nunzio la bellezza di Claudia è ricamata sul viso.
Il matrimonio, lo scorrere degli anni. Il fascismo. Più lavoro in cantiere: per produrre armi. L’arrivo degli americani: il brindisi. E rinasce l’altoforno, maggio ’46: nuovi festeggiamenti con orgoglio, in due anni gli operai hanno fatto quanto gli esperti dicevano ce ne volessero dieci. Il piano Marshall: cresce la produzione - e la speranza del benessere. Con Antimo, che vorrebbe sposare Teresa, Nunzio insiste: l’unica certezza è il cantiere, stipendio fisso. Una drammaturgia incalzante che non rinuncia mai alle scansioni narrative, alle atmosfere, a echi profondi di pensiero. Lasciando spazio alle spiegazioni tecniche, per il funzionamento dei macchinari. Seguendo le generazioni: “Antimo era mio nonno ed era simile a uno spazzacamino”. In verità lui avrebbe preferito continuare a lavorare il suo pezzo di terra: lì era tutto orribile.
Il direttore e l’elogio all’eternit. Si beve insieme per Antimo e Teresa sposi. Nunzio è senza fiato, fa fatica a respirare. Ma si danza: la vita continua. Forse. Gli scioperi per ridurre le ore di lavoro. 1970, lo Statuto dei Lavoratori. La malattia del ferro. L’addio di Nunzio. L’intervento degli ambientalisti. Anche Rosario, che vorrebbe continuare a studiare, si trova a scegliere il lavoro: lì al cantiere. Vorrebbe sposare Lena, la figlia di Antimo, anche lui ormai con difficoltà di respiro. Miliardi di lire di debito: “in verità dovremmo chiudere”. Rosario è il padre di chi ha iniziato a raccontare quella fiaba “che fiaba non era”.
Le tabelle di marcia per la produzione tra quel mare di magma e vampate di aria bollente. Le proteste della città al pensiero del dislocamento a Taranto, alla drastica riduzione del personale. Rosario viene trasferito a Genova e capisce che c’è l’intenzione di chiudere Bagnoli. Maradona e la scoperta dell’estrema nocività dell’eternit… Il tempo è passato, ma lo spettacolo possiede una sua circolarità: “Quella che ti ho raccontato stasera è una favola/ una favola che proprio favola non è”. Le cifre: tra le immani fatiche degli operai e gli sperperi, impraticabile la spiaggia. Antimo (Casertano) è il nome del drammaturgo e regista: come il nonno! Una storia di famiglia, ma insieme di tanti, di una parte importante d’Italia.
Spettacolo perfetto per la scrittura, la maestria, il rigore, il pieno accordo degli interpreti, il ritmo, teatro epico e d’emozione: tantissimi gli applausi nello spazio Capannone di Castrovillari, “Mare di ruggine”, uno dei tanti spettacoli di eccelsa qualità visti a Primavera dei Teatri.