Drammaturgia e regia di Caterina Marino
con Caterina Marino e Lorenzo Bruno
aiuto regia Marco Fasciana, video creator Lorenzo Bruno
con il sostegno di Florian Meateatro. Spettacolo segnalato del Premio Scenario 2021 Finalista Premio In-Box 2023
Nell'ambito di Scenario Festival 2023, al DAMS/lab/Teatro di Bologna il 3 settembre 2023
Entrare nello spazio mentale (e affettivo) di una intera generazione, quella approdata alla vita a cavallo del nuovo secolo, è operazione drammaturgicamente non agevole, anche se, come in questo caso, la porta di ingresso (anzi di accesso per usare un termine più della 'rete') è la mente di 'una' persona che quello spazio attraversa e occupa, preservando ma anche meticciando la propria individualità. Maria Dolores Pesce
Eppure questa costruzione scenica, capace di custodire con continuità e profondità la sua doppia valenza ontologica e linguistica, tra presenza concreta di corpo e voce e virtualità sempre spalancata appunto dall'accesso (che sfiora un guardonismo ossessivo) visionario attraverso il tecnico video che quella presenza accompagna e asseconda, riesce in qualche modo ma con efficacia ad insediarsi in quella terra incognita e anche per certi versi spaventosa.
Still Alive racconta dunque una storia di sopravvivenza, di un sopravvivere che sostituisce il vivere che diventa impossibile quando il futuro si fa oscuro, anzi sparisce quasi dai nostri sensibilissimi radar esistenziali.
Caterina Marino, la drammaturga, regista e dotata interprete, ci porta dentro a una storia personale, con le caratteristiche soggettive e non replicabili che ha ogni storia personale, la quale anche quando è raccontata non può non mantere una zona franca e psicologicamente protetta, ma attraversando questa 'sua' storia personale ci fa uscire nella piazza di una condivisione generazionale, ma anche oltre fino a tentare l'universale almeno dal punto di vista umano.
Lo stimma sembra essere la sfiducia o addirittura l'assenza del futuro, non percepito o percepito come portatore della catastrofe (dalla crisi ambientale a quella demografica), anzi talora vissuto come la catastrofe stessa.
La reazione, non so se naturale o forse sociologicamente solo più diffusa, è quella della fuga, del ritiro dentro la propria singolarità, privata quanto più possibile della relazione con l'altro e coltivata in una pervicace solitudine sociale, pericolo che tutti implica ma che in tanti diventa scelta di definitiva autoesclusione.
È questa una condizione che riguarda, senza dover citare solo i cosiddetti Hikikomori, molti giovani in tutto il mondo e che ci deve interrogare, a partire da ciò che i genitori ma anche la società hanno saputo fare e non fare o soprattutto dare o non dare.
La nostra stessa esperienza di vita mostra, ad una anche superficiale statistica, come numerosi siano amici e conoscenti alle prese direttamente con situazioni analoghe, ed è uno dei meriti di questa drammaturgia l'averci portato, in questo, a guardare la luna e non più il nostro dito.
D'altra parte, oltre il pre-giudizio culturale negativo che lo rappresenta, come argomenta lo psichiatra Paolo Barone, potrebbe anche darsi che <<se la crisi del nostro modo di vivere fosse irreversibile, il rientro in se stessi potrebbe far parte di un più profondo bisogno di introversione: quasi il preludio a una nuova, più equilibrata, visione delle cose. Il primo passo con cui il mondo starebbe seguendo il filo della sua più segreta vocazione>>.
La messa in scena è intelligente nel preservare un doppio piano narrativo e sintattico, la storia personale e lo sguardo aperto al collettivamente vissuto, che efficacemente la Marino sintetizza in una citazione di Van Gogh: “There is no blue without yellow and orange” (Non c'è blu senza giallo e arancione).
Una drammaturgia non priva di ironia, anch'essa per così dire stancamente depressa, con punte comiche che, anche per questo, rivelano la tragedia, soprattutto quando emergono sprazzi di esperienza diretta in cui balenano, tra rimproveri e stimoli, speranze e delusioni, anche le figure genitoriali.
La scena prevalentemente bianca e spoglia ricorda i luoghi in cui la mente si rifugia, anche solo per riposare, luoghi però che in certe situazioni si traformano nelle sbarre della prigione in cui precipitiamo quando la stanchezza si fa, ricordando Eugenio Montale, “male di vivere”, diventa ciò che chiamiamo infine depressione, la malattia tanto dei nostri tempi da andare oltre se stessa per diventare, come detto, fenomeno sociale, quasi una sua (della Società) espressione (pre o post)politica.
Infine, come non ricordare se non altro per assonanza di musicali tonalità, il bel film di Uberto Pasolini del 2013 Still Life, che, a posteriori, sembra l'esito possibile e non riscattato di un vivere che è diventato una “Natura Morta”.
Uno spettacolo di grande intensità che ha margini di ulteriore crescita, sia drammaturgicamente che recitativamente per assecondare la già notevole maturità della protagonista.