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APOCALISSI GNOSTICHE – Creazione Maria Federica Maestri_Francesco Pititto

"Apocalissi gnostiche", Creazione Maria Federica Maestri_Francesco Pititto. Foto Elisa Morabito "Apocalissi gnostiche", Creazione Maria Federica Maestri_Francesco Pititto. Foto Elisa Morabito

di Lenz Fondazione
Creazione Maria Federica Maestri_Francesco Pititto
Musica Andrea Azzali
Interpreti Tiziana Cappella, C.L. Grugher, Marcello Sambati, Sandra Soncini, Carlotta Spaggiari
Lenz Teatro di Parma, in prima nazionale 23 ottobre 2024

www.Sipario.it, 25 ottobre 2024

Apocalissi gnostiche è la quarta ed ultima pala del quadrittico creato da Lenz Fondazione intorno alle Sacre Scritture, ovvero alle scritture del sacro ma anche, meglio ancora, al 'sacro' della scrittura, e segue La Creazione del 2021, Numeri del 2022 e infine Apocalisse (quella 'ortodossa e cattolica' di Giovanni apostolo) del 2023.

Lo spettacolo è stato presentato in prima nazionale nell'ambito dell'edizione 2024 del Festival, da Lenz stessa promosso, “Natura Dèi Teatri”, titolo ove, come nella cifra della Compagnia, ovviamente non si parla della congiunzione (déi) ma bensì della immaginifica sollecitazione che da essa promana, trasfigurando così l'apparente assertività 'retorica' del titolo stesso (nel quale è significamente assente l'articolo determinativo) in una straordinariamente enigmatica apertura all'Universo della umanità intera.

Le Scritture cosiddette 'apocrife', a partire dai Vangeli così definiti e fino a questi testi apocalittici rintracciati in alcuni “Codici di Nag Hammadi” ritrovati fortunosamente in Egitto nel 1945, circondano le scritture 'riconosciute' dalla Chiesa e man mano selezionate a partire già dal Concilio di Nicea del 325 D.C., come un mare che le assedia non affamandole però, ma paradossalmente e per canali sotterranei alimentandone le interpretazione e suggestioni (ricordiamo il “Dio è madre” dello sfortunato Giovanni Paolo I) e non solo di 'fede', per quanto quest'ultima 'distinzione' possa avere validità in campo estetico.

Su queste scritture intatte nella loro capacità di illuminare ma frammentate per la loro natura di Enigma che 'libera' senza svelare, quali frasi di un pentagramma perduto che 'scorre' come le domande senza risposta (o con troppe risposte) del pre-socratico (e dunque pre-logico) Eraclito, il drammaturgo-imagoturgo Francesco Pititto compie un opera di apparente e ulteriore frammentazione che in realtà, nella sua risposta 'scenica', è una sorta di 'organizzazione' figurativa (l'immagine della 'parola') che, quale sottile cruciverba della mente, ne ricompone nuovamente o forse ne rinnova il senso più profondo.

Nella drammaturgia così emerge prepotente, tra Adamo, Pietro, Giacomo e Paolo, soprattutto la figura di Maria di Magdala (la Maddalena), e della sua Apocalisse che è il segno di una mistica, ma concretissima, ricongiunzione nella diversità preservata con il Cristo, in una sorta di visione di ciò che era prima, quando femmina e maschio era parti 'distinte' di un unico 'essere umano completo' (“Dio creò l'uomo e lo fece maschio e femmina”).

Una visione questa che conduce immediatamente al 'dopo' di una salvezza che ha i caratteri paradossali di una unione tra corpi oltre la materia.

Dice a un certo punto, in una illuminante visione del femminile che sta prima e che tornerà dopo i 'generi', la Maddalena: “La Materia tornerà alla Radice / chi ha orecchi per intendere / intenda / intenda!.

Maria di Magdala è infatti, l'unica, tra i cinque apocrifi apocalittici, che può parlare con il Cristo, ed è il suo non il consueto patiens, ma bensì un Cristo che, per liberare e salvare il mondo, si accende in un sorriso.

Ma insieme, in questo acceso (di 'passione') confronto, precipitano infinite illuminazioni e corrispondenze, dal citato Giovanni Paolo I, capace di affrontare la 'paura' della Chiesa Ufficiale di fronte a questi apocrifi, al platonico mito della Mela, a Nietzche e infine all'infelice Artuad, apostolo e martire del 'corpo autentico' e della crudeltà.

Una materia incandescente affidata, prima di potersi raffreddare come un magma, alla consueta mano (e al cuore) sapiente di Maria Federica Maestri che cura la composizione, l'installazione e gli involucri della scena.

Una scena dallo sfondo oscuro, un recesso della mente e dell'anima, con una porta illuminata di accesso (l'arte e la fede?), segnata da perturbanti colonne in orizzontale e degradanti, a rappresentare la sospensione del tempo e quindi del logos, sotto le quali, in lavacri ironici e semoventi, o in divani 'falsi' come la borghesia che li ha prodotti, tra rossi vermi che ricordano a noi e a loro l'essere transeunte della morte stessa, si raccolgono i corpi degli attori a comporre il coro della parola, che non ha altro senso fuori sé stessa, che non dice ma 'suggerisce', socchiudendo la porta ad una libertà tanto intima da essere quasi irraggiungibile.

Una sorta di segnali del passato che sono immagini del futuro mentre transitano nel presente, varchi  di un universo quantistico che l'antica gnosi fu capace di anticipare, spesso sdoppiandosi, come nello Shakespeare più avveduto, in un a-gnosticismo che non era e non è 'non-conoscenza' ma bensì una conoscenza 'diversamente' costruita.

Ancora una volta dunque un luogo sottratto alle schiavitù del pensiero 'costituito' come un potere, e di volta in volta pre-costituito e sempre infelicemente ri-costituito, dentro il quale gli attori sono in grado di liberare la propria, diversa e unica per ciascuno di loro, sapienza recitativa messa al servizio prima di sé stessi e poi, proprio grazie a ciò, al servizio di tutti noi spettatori che sentiamo di affacciarci ad un universo in qualche modo diverso ed autentico.

Di fronte ed intorno a loro l'ambiente sonoro e musicale diventa vero e proprio deuteragonista, un interlocutore che alimenta il transito scenico con immagini di suono che accompagnano e sostengono come una eco nel vento le parole drammaturgiche. Il bravo Andrea Azzali che ne è il creatore è partito dalla “Pastorale” di Bach per contaminarla, destrutturandola in modo analogo a quello della drammaturgia rispetto ai Codici, con suoni e musiche di sua creazione o da lui selezionate all'interno della propria personale esperienza in un finale ed efficacissimo, se così si può dire, 'travestimento'.

Qui, tra le protagoniste consuete e ancora una volta ritualmente irrituali del teatro di Lenz, Tiziana Cappella, C.L. Grugher, Sandra Soncini e Carlotta Spaggiari, fa ieratica irruzione Marcello Sambati, il poeta che con questo spettacolo torna con grande efficacia al teatro di ricerca già lungamente praticato.

Tutto ciò in coerenza con quanto scrivono i Lenz, nella presentazione del testo, e che per una volta è giusto citare: <<Le Apocalissi Gnostiche annunciano con parole-immagine l'avvento di un'altra sapienza umana_non-umana, senza età, senza ordine, senza volontà, una Sophia che ci invita a percorrere la via del paradosso linguistico per tornare alla radice ed essere guidati nelle tempeste della materia del presente da una “femmina nata dalla femmina>>.

Con Apocalissi Gnostiche, in fondo, si chiude un cerchio pronto a subito riaprirsi in tangenti capaci di penetrarci nel fondo della mente e dell'anima.

In scena, per 20 spettatori alla volta, dal 23 al 31 ottobre,

Maria Dolores Pesce 

Ultima modifica il Venerdì, 25 Ottobre 2024 22:35

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