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IL GIORNO IN CUI MIO PADRE MI HA INSEGNATO AD ANDARE IN BICICLETTA – di Sandro Bonvissuto

Valerio Aprea in "Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta", regia Licia Amendola Valerio Aprea in "Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta", regia Licia Amendola

di Sandro Bonvissuto
con Valerio Aprea
foto di Stefano Cioffi
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in collaborazione con Flautissimo Festival
Roma – Teatro India 15 – 27 ottobre 2024

www.Sipario.it, 26 ottobre 2024

Parafrasando quello che diceva Eduardo De Filippo sui napoletani (“Il fatto è che siamo simpatici”), del testo di Bonvissuto, Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta portato in scena da Valerio Aprea facendone una lettura, si può dire: il fatto è che è insopportabile.

Tutto ruota, sino ai limiti della noia e della narcosi, su un fatterello: un bimbo non sa andare in bicicletta, i suoi amici sì. Questo bimbo, per non sentirsi escluso del tutto dal mondo, chiede a suo padre di insegnargli a pedalare. Il padre accontenta il figlio che, finalmente, impara ad andare in bicicletta. Così, non solo viene di nuovo accolto nel gruppo dei suoi amici, ma inizia finalmente a crescere e da bambino diventa adulto.

Al di là della debolezza della bicicletta come metafora di emancipazione e presa di coscienza del bimbo del suo essere un uomo (o meglio un individuo), il testo di Bonvissuto ha le qualità di scrittura tipiche del peggior Moravia mestierante, che amava scrutare dal buco della serratura le storie lasciando situazioni e personaggi a un livello terragno di chiusura e piccineria mediocri che risultavano insopportabili. Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta rievoca le consuetudini familiari di bambini di cinquant’anni fa, con genitori che avevano dialoghi poco confidenziali con i loro figli. Tutto si limitava a una serie di precetti (“Ti sei lavato?”, “Vatti a lavare le mani”, “Non fare rumore ché papà sta riposando” e così via) ai quali era impossibile fuggire. Oltre non si va. Una situazione che a Bonvissuto non è mai piaciuta e che ha provato a irridere in questo testo. 

Il punto è che la sua comicità, le sue battute su situazioni del genere, dalla scrittura non sono risultate ironiche o satiriche. Tutto si è risolto in un tentativo di voler riuscire simpatico ad ogni costo, quando è evidente che la comicità non è una dimensione nella quale questo scrittore si muove con disinvoltura. Non gli riesce proprio una satira mordace e divertente come quella di Paolo Villaggio, o di Ennio Flaiano, o di Enrico Vaime, o di Marcello Marchesi.

Il pubblico del teatro India ha però riso perché Valerio Aprea, attore di comprovato mestiere, ha giocato tutto sui controtempi comici e su una chiave recitativa di vago sarcasmo, salvando un testo debolissimo che amplia esageratamente un episodio con eccessive considerazioni cervellotiche e che, per dirla con Bazlen, scade nello stereotipo di complicare ciò che nella realtà è semplice.

Il finale dello spettacolo, con Aprea che gira sul palco in sella a una bicicletta, è un colpo di scena debole e dal sapore retorico.

Insomma, se Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta avesse attinto nei toni a quel divertimento del Savinio di Tragedia dell’infanzia, sarebbe stato uno spettacolo meno scialbo, tutt’altro che retorico e senza quelle nuance dal sapore radical chic. Con un testo meno legnoso, anche le doti comiche di Aprea sarebbero apparse più spontanee e meno costruite.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Domenica, 27 Ottobre 2024 23:43

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